Lo stagionatore

LO STAGIONATORE

Una giornata di sole, un bel posto dove fare un fuoco e sistemare una griglia, una bistecca freschissima appena comprata. Tutto meraviglioso, se non fosse che la carne, filetto escluso, una volta cotta non è morbida.
Esperienza un pò triste, vero, capitata anche a chi scrive. 
Con la parola frollatura ci si riferisce a un’operazione che consiste nel far riposare la carne per un periodo più o meno lungo prima di cucinarla.

Durante la macellazione, infatti, avvengono alcuni cambiamenti chimici biologici e fisici che hanno effetti più o meno favorevoli al consumo.
Gli enzimi proteolitici (letteralmente enzimi che “sciolgono le proteine”) sono i principali responsabili della tenerezza della carne dopo la macellazione: il riposo dei tessuti permette la formazione dell’acido lattico che una volta formatosi nei muscoli favorisce l’attacco di questi enzimi la cui funzione è attaccare e sciogliere le proteine permettendo al muscolo di ammorbidirsi.

La frollatura, dunque, consiste nell’aumentare il tempo a disposizione dei processi fisici che accentuano gli aromi e la morbidezza della carne. Sono due i metodi con cui è possibile realizzare la frollatura e si differenziano sotto diversi punti di vista.

Nel dry aging (stagionatura a secco) la carne viene fatta riposare in celle frigorifere a una temperatura tra 0 e 4 gradi con umidità relativa dell’85-90% e costante aerazione al fine di “asciugare” in maniera controllata la carne.
La temperatura è un fattore fondamentale in grado di portare a compimento o rovinare completamente il processo di maturazione della carne: il troppo freddo (-2/-3°C) blocca i processi enzimatici mentre temperature eccessive (sopra i 5°C) stimolano l’attività degli enzimi ma anche la crescita di microbi patogeni.
Stesso livello di importanza per l’umidità: troppa favorisce la crescita dei batteri, troppo poca comporta un eccessivo restringimento dei tessuti.

Il wet aging (stagionatura a umido) è una tecnica relativamente recente secondo la quale i tagli di carne dopo la macellazione vengono sigillati sottovuoto, quindi senza ossigeno, per un numero variabile di giorni (solitamente dai 4 ai 10) e conservati in celle frigorifere a una temperatura di 4-5°C.

Entrambi i metodi hanno benefici e costi: una ricerca del Dott. Jeff W. Savell, della Texas University (“Dry-Aging of Beef“) sottolinea quanto il processo di dry aging contribuisca alla concentrazione degli aromi e dei sapori conferendo alla carne estrema morbidezza e sfumature di gusto gradevoli e molto intense. Al tempo stesso lo studio rivela quanto questo processo contribuisca ad una considerevole perdita di peso e volume della carne, fenomeno che determina un costo maggiore per il rivenditore e spiega la difficoltà con cui è possibile reperire questi prodotti sul mercato della grande distribuzione. Il wet aging comporta una maturazione della carne diversa che porta a una morbidezza simile a quella ottenuta con il processo di dry aging ma con il vantaggio di non favorire la perdita di peso.
La differenza più grande tra i due metodi consiste nel sapore: il dry aging porta a sapori complessi e ricche sfumature di aromi (nocciola ad esempio) impossibili da ritrovare in una carne stagionata sotto vuoto.

Tutto ciò comporta una buona e una cattiva notizia. Partendo dalla cattiva, c’è sicuramente da registrare il fatto che procedere in maniera autonoma alla frollatura della carne mediante dry aging è un processo rischioso e sicuramente costoso, dato che servono celle frigorifere particolari per non rischiare di rovinare la carne o consumarla in seguito ad una scorretta conservazione. La buona notizia è che all’Artigiano le attrezzature per il dry aging non mancano ed è possibile gustare carni frollate da 30gg fino ad arrivare in certi casi ad oltre i 200gg.

MENÚ DI FERRAGOSTO